Prevenire i malfunzionamenti dell’aria condizionata: consigli pratici

Grazie all’aria condizionata è possibile rendere più sopportabili anche le giornate più calde e afose, e ciò la rende un elettrodomestico cui non siamo disposti a rinunciare.

Chiaramente, come tutti i dispositivi, anche un impianto di aria condizionata può essere soggetto a malfunzionamenti che ne compromettono l’efficienza e dunque la capacità di raffreddare gli ambienti.

In alcuni casi ci sono dei guasti che sono indipendenti dal tipo di utilizzo che facciamo del dispositivo, mentre in altri casi si tratta di guasti che derivano principalmente dal nostro non saperlo gestire correttamente.

Ecco allora di seguito alcuni consigli pratici per prevenire i guasti più comuni che interessano i sistemi di aria condizionata ed i suggerimenti per avere sempre un perfetto funzionamento tutto l’anno.

Manutenzione periodica

La manutenzione periodica è fondamentale per prevenire i malfunzionamenti dell’impianto di aria condizionata.

Sia che si tratti di un impianto con split o che si tratti di un impianto di climatizzazione canalizzata, è consigliabile programmare un controllo da parte di un tecnico qualificato almeno una volta all’anno, in primavera o all’inizio dell’estate.

Durante la manutenzione, il tecnico verificherà il livello del gas refrigerante e provvederà eventualmente a ripristinarlo se necessario, pulirà i filtri, ispezionerà i componenti elettrici, lubrifichifierà le parti meccaniche e più in generale verificherà il corretto funzionamento dell’impianto e la sua capacità di raffreddare gli ambienti.

Pulizia dei filtri

I filtri dell’aria condizionata trattengono polvere, sporcizia e polline. Se sono sporchi o intasati, l’aria condizionata non funziona correttamente ed in particolare c’è il rischio che l’aria “inquinata” circoli dentro casa, con conseguenze poco piacevoli soprattutto per chi è interessato da patologie quali ad esempio l’asma.

È quindi importante pulire i filtri regolarmente, almeno una volta ogni anno. Per far ciò è sufficiente aprire lo split, togliere i filtri dal loro alloggio e pulirli con dell’aria compressa o panno umido prima di alloggiarli nuovamente nella posizione corretta.

Corretta impostazione della temperatura

Impostare una temperatura troppo bassa può causare sia un inutile ed eccessivo consumo di energia che un vero e proprio malfunzionamento dell’impianto.

È consigliabile per questo mantenere la temperatura interna tra i 25 ed i 27 gradi e comunque mai esageratamente più bassa rispetto quella esterna.

Posizionamento del condizionatore

Il posizionamento stesso del condizionatore è importante per garantirne l’efficienza e la capacità di durare a lungo. È consigliabile per questo installare il condizionatore lontano da fonti di calore e ostacoli che possano ostacolare il flusso d’aria.

Una pratica disattenta quanto dannosa ad esempio, è quella di installare il condizionatore troppo vicino al soffitto: in questa maniera la macchina non sarebbe in grado di far circolare correttamente l’aria fresca dall’alto verso il basso, lavorando più del necessario ed in maniera non efficiente.

Utilizzo corretto del dispositivo e controllo dei consumi

Evitare di lasciare le porte e le finestre aperte quando l’aria condizionata è in funzione. Questo può infatti essere causa di un calo di efficienza e un aumento dei consumi.

Inoltre, proprio a causa delle finestre aperte, il condizionatore non riuscirebbe a climatizzare l’ambiente come dovrebbe ed il compressore non andrebbe mai a “staccare”, rischiando di guastarsi.

Inoltre, monitorare i consumi del sistema di climatizzazione è utile per identificare eventuali anomalie. Se si verifica ad esempio un aumento improvviso dei consumi, questo potrebbe essere un possibile segno di un malfunzionamento.

Conclusione

Avendo cura di mettere in pratica questi pratici consigli, è possibile prevenire i malfunzionamenti più comuni dell’impianto di aria condizionata e fare in modo che il sistema funzioni correttamente più a lungo.

Ad ogni modo, in caso di dubbi o problemi, è sempre consigliabile consultare un tecnico esperto e qualificato.

La differenza tra un neon classico con gas ed un neon LED

La tipica tecnologia di illuminazione al neon, per intenderci quei neon che contengono il gas Argon, è stata utilizzata per decenni per illuminare sia locali che spazi pubblici e privati.

Negli ultimi anni è invece arrivata sul mercato la tecnologia LED, che per sua natura offre una serie di vantaggi in più rispetto ai neon classici.

Per spiegare bene la differenza anche agli utenti meno esperti, abbiamo deciso di sottolineare con esattezza quali siano questi vantaggi e dunque le principali differenze tra neon classico e neon LED.

Neon classico con gas

  1. I neon classici con gas sono costituiti da un tubo di vetro riempito con un gas, tipicamente il famoso “Argon”. Il gas è eccitato da una corrente elettrica, il che gli consente di produrre una luce di un colore specifico.
  2. Luminosità e colori: I neon classici possono produrre una luce molto brillante, con una gamma di colori che va dal rosso al giallo, al verde e al blu.
  3. Consumo energetico e durata di vita: I neon classici consumano una quantità significativa di energia elettrica e hanno una durata di vita relativamente breve, di circa 10.000 ore.
  4. Applicazioni di tipo tradizionale: I neon classici sono spesso utilizzati in applicazioni pubblicitarie e decorative senza grandi pretese.

Neon LED

I neon LED sono costituiti da una serie di diodi luminosi (LED) disposti in fila, i quali sono alimentati dalla corrente elettrica e producono una luce del colore desiderato.

  1. Luminosità e colori: I neon LED possono produrre una luce altrettanto brillante, così come i neon classici, ma offrendo una gamma di colori ancora più ampia.
  2. Risparmio energetico e vantaggi ambientali: I neon LED consumano una quantità decisamente inferiore di energia elettrica dei neon classici e sono per questo sono ritenuti a basso impatto ambientale.
  3. Durata di vita: I neon LED hanno una durata di vita molto più lunga dei neon classici, fino a 50.000 ore di utilizzo.
  4. Applicazioni moderne: I neon LED sono sempre più utilizzati in applicazioni commerciali e dunque pubblicitarie, dato che sono in grado di catturare l’attenzione di chi osserva.

Il confronto tra neon classico con gas e neon LED

Schematicamente, ecco un confronto tra i due tipi di neon e le caratteristiche che li contraddistinguono.

  • Costi: I neon classici hanno costi d’acquisto relativamente bassi, ma non rappresentano un buon investimento a lungo termine a causa del maggior consumo energetico e della loro breve durata.
  • I neon LED hanno solitamente dei costi iniziali maggiori, ma a lungo termine sono più convenienti  a causa del minor consumo energetico e della lunga durata nel tmepo.
  • Installazione e manutenzione: L’installazione dei neon classici è relativamente semplice, ma la loro manutenzione può essere costosa e pericolosa. Al contrario, i neon LED non hanno praticamente bisogno di manutenzione.

Dunque la scelta tra neon classico e neon LED dipende da una serie di fattori; in generale, i neon LED rappresentano la scelta migliore soprattutto per le applicazioni in cui è importante risparmiare energia, e ridurre i costi a lungo termine, o laddove sia necessaria un tipo di illuminiazione in grado di migliorare l’ambiente circostante.

Considerazioni sul design e sull’effetto visivo

I neon classici offrono quasi sempre un design tradizionale senza nessuna pretesa particolare in fatto di stile. I neon LED, invece, sono più versatili e possono essere utilizzati per creare una varietà di effetti visivi.

I neon classici sono disponibili in una varietà di forme e dimensioni, ma sono spesso limitati per qel che riguarda i colori. I neon LED, invece, possono essere personalizzati sia per quel che riguarda le  forme che i colori.

In breve, sia i neon classici che i neon LED sono delle tecnologie di illuminazione valide. La scelta tra le due dipende da una serie di fattori (soprattutto l’effetto visivo), considerando che i moderni neon a LED hanno certamente quel qualcosa in più che può rendere un ambiente più accattivante e attraente.

Le professioni mediche con maggiori sbocchi lavorativi

I giovani che volgono al termine del proprio percorso di studi alla scuola dell’obbligo, tipicamente cominciano a guardarsi attorno per cercare di capire in che maniera proseguire con la preparazione seguendo chiaramente un preciso percorso formativo in linea con le proprie passioni e le proprie ambizioni.

In particolar modo, gli studenti interessati ad approfondire gli studi in Medicina o qualsiasi altro tipo di branca inerente l’ambito sanitario, cominciamo con il domandarsi quale possa essere la professione giusta anche in relazione alle richieste di mercato e le proposte di lavoro.

Bisogna considerare che nella scelta della professione in cui specializzarsi incide chiaramente molto anche quello che può essere un eventuale sbocco lavorativo. Sarebbe un rischio infatti l’andare a specializzarsi in una professione non richiesta dal mercato o comunque una in cui trovare un lavoro è particolarmente difficile.


Le professioni con maggiori sbocchi lavorativi in ambito medico


Ecco allora di seguito un rapido elenco di quelle che sono le professioni oggi maggiormente richieste in ambito medico, quelle che consentono di trovare un buon lavoro con maggior facilità.

  • Osteopata
  • Fisioterapista
  • Fisiatra
  • Massoterapista
  • Infermiere specializzato
  • Ostetrici
  • Tecnici sanitari


Queste dunque le professioni che al momento appaiono essere quelle con un mercato certamente più florido e dunque per le quali è lecito aspettarsi di trovare un buon lavoro con più velocità.

Per alcune di queste è necessario seguire uno specifico corso abilitante alla professione, come nel caso del Corso di Laurea triennale in Ostetricia, la Laurea triennale in Infermieristica o la laurea in Tecniche di radiologia medica per diventare rispettivamente ostetrici, infermieri specializzati e tecnici sanitari.

Per diventare fisioterapista è invece necessario conseguire un diploma di laurea triennale in Fisioterapia, mentre per diventare fisiatra è necessario conseguire la Laurea in Medicina e frequentare poi un corso di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione (la cui durata va dai 4 ai 5 anni).

Per diventare un osteopata è invece necessario seguire un corso di studi privato (dura dai 5 ai 6 anni) presso una scuola di osteopatia abilitata. Per chi desidera diventare un massoterapista infine, è necessario seguire un corso triennale riconosciuto dall’Associazione Italiana Massoterapisti(AIM), ed il frequentare ulteriori corsi di massoterapia è certamente positivo per completare la propria formazione o tenersi sempre aggiornati.

Dove trovano lavoro le persone in ambito sanitario?

Un giovane professionista che ha appena terminato il suo percorso di studi ed è abilitato alla professione medica, inizialmente cercherà di comprendere in quale tipo di struttura sia pensabile lavorare.

Il panorama da questo punto di vista è vasto in quanto ad assumere personale sanitario specializzato non sono soltanto i grandi ospedali, ma anche cliniche private, ambulatori, centri di riabilitazione e centri di fisioterapia, ad esempio.

Nulla vieta, chiaramente, di poter operare anche in maniera autonoma e dunque aprire il proprio studio.

Si tratta di una possibilità alla quale un giovane medico o personale sanitario non pensa sin da subito, ma che può diventare una concreta opportunità di lavoro quando si comincerà ad avere una prima rete di pazienti.

Conclusione

Studiare e formarsi in maniera adeguata è fondamentale per trovare un buon lavoro, in ambito medico così come in qualsiasi altro tipo di settore o specializzazione, ma è altrettanto interessante individuare le specifiche professioni di cui c’è maggior richiesta in un dato settore.

Per aumentare notevolmente le possibilità di trovare un buon impiego poi, è bene proseguire con gli studi e lavorare sulla formazione personale anche dopo aver conseguito l’abilitazione alla professione, così da poter essere sempre aggiornati ed in grado di offrire realmente i migliori servizi ai propri pazienti.

In quali settori viene adoperata l’aria compressa per la produzione?

Tanti prodotti sempre presenti nella tua nostra vita di tutti i giorni esistono grazie anche al lavoro effettuato da un compressore d’aria industriale che fornisce la sua energia ed il suo lavoro per consentire di ottenere tale risultato finale.

Sebbene sul mercato sia presente un’ampia varietà di compressori  industriali usati e nuovi, la scelta del dispositivo ideale dipenderà principalmente dal tipo di settore cui è destinato e dalla qualità dell’aria compressa richiesta, che si basa sui noti standard internazionali di qualità. Ecco alcuni dei settori in cui i compressori industriali sono particolarmente utilizzati:

  • Settore tessile: Alcuni dei compressori più utilizzati in questo settore sono dei  compressori “oil-free” per processi sensibili come filatura, tessitura, tintura e testurizzazione, e compressori a iniezione d’olio a velocità fissa o variabile per processi che comunque non entrano in contatto con il prodotto finale.
  • Settore farmaceutico: questo settore richiede i più elevati standard di qualità, ed  i compressori d’aria “oil-free” sono i dispositivi più utilizzati in questo settore in processi come l’essiccazione, il confezionamento di medicinali e in altri processi ancora come ad esempio il trasporto pneumatico.
  • Settore automobilistico: per l’assemblaggio dei veicoli, i compressori più comunemente usati in questo settore sono i compressori d’aria a iniezione d’olio fino a 40 HP. Per finiture più precise, a volte vengono utilizzati compressori “oil-free” per le vernici spray.
  • Settore produzione carta e cellulosa: i compressori più utilizzati in questo settore sono  compressori a iniezione d’olio ad alta potenza (tra i 100 HP ed i 420 HP) e anche compressori “oil-free”, i quali sono essenziali per prodotti per l’igiene, pannolini per bambini e fazzoletti, tra gli altri prodotti.
  • Settore alimentare: l’industria alimentare richiede elevati livelli di purezza dell’aria. La presenza di olio nel processo di compressione può portare a prodotti contaminati che influiscono sulla qualità del prodotto finale e vanno a mettere in pericolo il consumatore, nonchè influiscono sulla reputazione dell’azienda produttrice. Pertanto, anche in questo caso si utilizzano compressori “oil-free”. Per qualsiasi altro processo che non sia a contatto con il prodotto finale, possono essere utilizzati compressori ad iniezione d’olio da 3HP a 420HP.

Cos’è la Classe Zero?

La presenza di olio nell’aria compressa è il principale parametro di qualità utilizzato dalle industrie. Si tratta di una classificazione internazionale che negli anni è cresciuta di importanza.

La norma ISO 8573-1 offre certificazioni suddivise in varie classi che si differenziano in base alla concentrazione di olio nell’aria. L’attuale Classe Zero  è conosciuta come lo standard più elevato per quel che riguarda la purezza dell’aria compressa.

Compressore industriale a iniezione o “oil-free”: quale scegliere?

I compressori “oil-free” sono stati progettati per applicazioni in cui il prodotto finale non può avere alcun tipo di contatto fisico con la rete dell’aria compressa e/o con il prodotto finale.

Con un compressore “oil-freesi riduce notevolmente l’utilizzo dei filtri dell’aria, così come l’utilizzo di pezzi di ricambio, ci sono minori perdite di carico in linea e una maggiore operatività senza interruzioni, ovvero  l’attrezzatura ha bisogno di meno tempo per i tempi di fermo dovuti alla manutenzione. Oggi sul mercato sono presenti diversi modelli di compressori “oil-free”, ciascuno adatto a risolvere necessità specifiche.

Chiaramente, se le operazioni che effettui con l’aria compressa non coinvolgono in maniera diretta il prodotto finale o comunque la presenza d’olio non va ad intaccarne la qualità, puoi avere tutta la tranquillità del sapere che puoi utilizzare un compressore d’aria ad iniezione d’olio .

Assicurati ad ogni modo di includere i filtri di linea per migliorare la qualità dell’aria compressa in base al tipo di utilizzo che intendi farne.

La Spettrometria Ottica

Grazie alla spettrometria ottica è possibile identificare materiali e classificarli, sia che questi siano organici o no. Tale tecnica trova applicazione nei settori più svariati, che vanno da quello medico a quello industriale e scientifico.

L’analisi e l’identità dei materiali avviene solitamente all’interno di una particolare telecamera detta camera iperspettrale. Questo particolare tipo di strumento ha il grande vantaggio di riuscire ad abbinare le tecniche di analisi e di misura sfruttando la spettroscopia ottica.

Questo è dunque un componente molto importante dell’intero processo di analisi, in quanto consente di monitorare ogni processo produttivo al fine di garantire sempre una elevata qualità della produzione e dunque di fare in modo che tutti i prodotti offerti al cliente finale superino gli standard di qualità richiesti.

Il funzionamento di uno spettrometro

Tali strumenti hanno la capacità di riuscire a misurare le radiazioni provenienti dagli oggetti e in questa maniera riescono ad intuirne quella che è la composizione chimica. Ciò avviene grazie alla capacità degli spettrometri di riuscire a misurare e classificare il comportamento della luce su una piccola parte dello spettro elettromagnetico, in maniera da riuscire ad identificare i materiali che lo compongono. Questa caratteristica unica consente agli spettrometri di essere adoperati nei settori più impensabili che vanno ben oltre l’utilizzo medico-scientifico: parliamo infatti anche del settore militare, astronomico e automotive.

Miglioramento generale della qualità di produzione

Optoprim srl è un’azienda che offre tale tecnologia, e lo fa tramite un vasto catalogo che annovera strumenti di ogni tipo in grado di soddisfare le necessità di realtà provenienti da ogni tipo di settore. La consulenza offerta da Optoprim Srl consente di individuare esattamente il macchinario più adatto in base alle necessità specifiche, e rappresenta un valido aiuto anche per quel che riguarda l’integrazione della tecnologia prescelta all’interno del processo produttivo.

Grazie a tale tecnologia, è realistico affermare che la qualità di produzione di un impianto o di un settore di qualsiasi tipo è chiaramente destinata a migliorare.

Inflazione, quanto incide sui redditi reali degli italiani?

L’inflazione sta vanificando il recupero dei redditi delle famiglie italiane, riportandoli, in termini reali, al di sotto dei livelli pre-pandemia. In sintesi, l’inflazione ha causato una perdita complessiva di oltre 6 miliardi di euro rispetto al 2019. Nonostante un aumento nominale del reddito medio familiare da poco più di 38.300 euro a oltre 43.800 euro all’anno tra il 2019 e il 2023, l’incremento di circa 5.500 euro è stato nella realtà “annullato” dall’aumento dei prezzi.

Nel marzo 2023, a quattro anni dal lockdown, il reddito reale medio per famiglia è ancora inferiore di 254 euro (-0,7%) rispetto al 2019. Lo rivelano le elaborazioni su redditi e occupazione condotte da CER e Ufficio Economico Confesercenti, basate sui dati Istat.

Meglio i redditi medi da lavoro autonomo

La crescita del reddito medio da lavoro autonomo (professionisti, imprenditori, partite IVA) ha contribuito ad arginare il calo, superando i 43.600 euro nel 2023, quasi 1.600 euro in più rispetto al 2019. Anche il reddito da altre fonti, inclusi capitali, patrimoni e rendite finanziarie, è cresciuto di 1.178 euro rispetto a cinque anni prima. Tuttavia, il reddito medio da lavoro dipendente ha avuto solo un modesto aumento di 180 euro in termini reali nello stesso periodo.

I redditi da trasferimenti pubblici hanno subito un calo significativo (-1.819 euro), inclusi pensioni, indennità e altri sussidi, a causa dell’adeguamento parziale delle pensioni al caro-vita e dell’esaurimento progressivo del reddito di cittadinanza a partire dalla metà del 2023.

Le differenze a livello regionale

A livello regionale, il calo del reddito medio è differenziato, con alcune regioni del nord che registrano aumenti reali, mentre la maggior parte del paese rimane indietro. La Calabria si colloca agli ultimi posti, con un reddito medio reale di poco meno di 29.000 euro all’anno nel 2023. Nonostante le sfide economiche e la crisi globale, l’occupazione ha mostrato uno slancio positivo, con un aumento netto di quasi 394.000 occupati tra il 2019 e il 2023. Tuttavia, anche in questo caso esistono disparità regionali. La Puglia, ad esempio, è l’area che registra la maggiore crescita occupazionale.

I redditi reali sono indicatori affidabili

Confesercenti sottolinea l’importanza di valutare i livelli di reddito ‘reali’ come indicatore fondamentale per la salute e il benessere economico. Propone interventi fiscali mirati per sostenere i redditi e i consumi delle famiglie, sottolineando l’effetto positivo atteso dalla recente manovra di bilancio sulla spesa familiare. La riduzione permanente del cuneo contributivo e una rapida riforma fiscale sono considerate essenziali per il recupero del potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione.

Italia, promossa in energie rinnovabili e raccolta differenziata

Continua il trend positivo del nostro Paese in ottica green. L’Italia si allinea infatti agli obiettivi europei di sviluppo sostenibile per la produzione di energia da fonti rinnovabili, con buoni risultati nella raccolta differenziata dei rifiuti e una diminuzione dello smaltimento in discarica.
Il quadro nazionale, come emerso dal quarto “Rapporto Ambiente” di Snpa, presenta un lento miglioramento della qualità dell’aria, successi nell’agricoltura biologica e un aumento dei controlli sugli impianti produttivi. 

Preoccupano emissioni di gas serra e consumo di suolo

Tuttavia, preoccupano le emissioni di gas serra, l’incidenza del turismo sui rifiuti urbani, la produzione di rifiuti speciali e il consumo di suolo, mentre rimane stabile la situazione dei piani di adattamento ai cambiamenti climatici, della gestione delle aree protette e del rumore.

Energie rinnovabili, superati gli obiettivi 

In termini positivi, l’utilizzo di energie rinnovabili è in crescita, superando l’obiettivo del 17% assegnato all’Italia nel 2020. Tuttavia, si registra un calo al 19% nel 2021. L’agricoltura biologica è in ascesa, coprendo il 18,7% della superficie agricola utilizzata nel 2022. La raccolta differenziata continua a crescere, raggiungendo il 65% a livello nazionale nel 2022, con la frazione organica come la più raccolta (38,3%).

Qualità dell’aria, valori da migliorare

Per quanto riguarda la qualità dell’aria, si osserva un trend decrescente del PM2,5 negli ultimi 10 anni grazie alla riduzione delle emissioni di particolato primario e dei precursori del secondario. Tuttavia, la maggior parte delle stazioni di monitoraggio supera il valore di riferimento annuale dell’OMS. Le emissioni di gas serra si riducono rispetto al 1990, ma la diminuzione non è sufficiente. Nel 2021, dopo la battuta d’arresto a causa del periodo pandemico, si è registrato un aumento dell’8,5% rispetto all’anno precedente. 

Negativo il trend sul consumo di suolo

Negativo il trend sul consumo di suolo: dal 2006 al 2022 è aumentato in Italia di oltre 120 mila ettari, riferisce Askanews. Nell’ultimo anno, il consumo di suolo netto registrato in Italia è stato in media, oltre 21 ettari al giorno pari a 2,4 m2 al secondo. Notizie poco rassicuranti anche per l’incidenza del turismo sui rifiuti urbani: dal 2006 al 2021, in Italia, la quota attribuibile al settore turistico mostra un andamento altalenante: in decremento fino al 2009, poi una crescita, seppur lieve, nel 2010 e nel 2011, per diminuire fino al 2013, e successivamente tornare ad aumentare.

Opportunità o minaccia? Gli italiani divisi sull’IA  

Qual è oggi l’opinione degli italiani sull’Intelligenza Artificiale? E’ questo un tema oggi particolarmente caldo, di cui si sente quotidianamente parlare su stampa, tv e social. Peer tale ragione è interessante scoprire quale siano le posizioni dei nostri connazionali: un’indagine commissionata da Facile.it agli istituti di ricerca mUp Research e Norstat ha rivelato che quasi 5 milioni di persone in Italia considerano l’AI come una minaccia.

I giovani sono i più ottimisti

Il dibattito sull’AI si sviluppa su due binari distinti: da una parte chi la percepisce come una minaccia e dall’altra chi la vede come un’opportunità. Lo studio, condotto su un campione rappresentativo della popolazione, evidenzia che tra i più giovani prevale l’idea che l’AI possa essere un’opportunità. A livello nazionale, il 34,5% vede vantaggi nell’utilizzo dell’AI.

La percentuale di “fiduciosi” sale al 40,4% tra i 25-34enni e addirittura al 53,5% nella fascia di età 18-24 anni. Al contrario, al salire dell’età anagrafica aumentano anche i timori: il 18% degli intervistati oltre i 55 anni considera l’AI solo come minaccia, senza scorgerne le opportunità.

I rischi collegati all’Intelligenza Artificiale

Quali sono i rischi legati all’utilizzo dell’IA che più preoccupano gli italiani? Il 52,6% teme che l’AI possa essere sfruttata da malviventi per azioni fraudolente, mentre il 39,6% ha paura che questa tecnologia possa diventare incontrollabile dall’uomo. Il 39% si dichiara preoccupato dai contenuti falsi online generati dall’AI, mentre oltre 5,6 milioni di connazionali temono la perdita del lavoro. Quest’ultimo sentiment è espresso soprattutto dai giovani.

La diffusione dei crimini informatici

Oltre che dell’IA, gli italiani hanno timore dei rischi sempre più diffusi legati alla tecnologia in generale. Dall’analisi emerge che in Italia quasi 13 milioni di individui sono stati vittime di un crimine informatico almeno una volta nella vita. Dai più comuni, come accessi non autorizzati agli strumenti di pagamento personali (oltre 6,5 milioni), al furto di identità/immagine (circa 2,5 milioni) e alla diffusione non autorizzata di materiale digitale (quasi 2,3 milioni). Ma si registrano anche casi di furto di identità con sottoscrizione di contratti a nome di altri (2,2 milioni) e vittime di cyberstalking, cyberbullismo e revenge porn.

Polizze contro i pericoli della tecnologia 

Con l’evolversi degli attacchi informatici, il mondo assicurativo risponde con polizze ad hoc. Eppure il 61,4% degli italiani non è ancora a conoscenza di questa opportunità, e solo il 3% del campione ha sottoscritto un’assicurazione del genere. Tra chi non ha una copertura, il 37,7% è intenzionato a farlo, con una percentuale che raggiunge il 43% tra i 25-34enni. 

Dipendenza da social in Italia, è allarme per gli under 23

La dipendenza da social media rappresenta un crescente motivo di preoccupazione, in particolare tra i giovanissimi. E le comunità maggiormente vulnerabili si trovano in Sicilia, Campania e Umbria. Sono alcuni dei dati emersi da una ricerca condotta da Demoskopika.

La Bergen Social Media Addiction Scale è stata utilizzata per individuare comportamenti problematici legati all’uso eccessivo dei social media, rivelando che oltre 1,1 milioni di individui sotto i 35 anni sono a rischio elevato di dipendenza. Un numero che corrisponde al 10,1% della popolazione giovanile italiana.

I giovanissimi sono il target più “fragile”

La relazione tra età e rischio di dipendenza sembra inversamente proporzionale, con i giovanissimi (18-23 anni) che rappresentano il 38% del totale a rischio. Segue poi la fascia d’età di quelli tra i 24 e i 29 anni (34,5%) e degli under 35 “più adulti” (30-35 anni) che superano i 308 mila individui. Il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio, sottolinea l’importanza di un ascolto attivo verso i giovani per contrastare la dipendenza dai social media, evidenziando la necessità di una maggiore consapevolezza digitale.

Si passa più tempo on line che con gli amici

I risultati evidenziano che l’85,7% degli intervistati preferisce le attività on line, come l’uso quotidiano dei social media (85,7%) e del personal computer (79,8%), rispetto a occupazioni “non mediate” come incontrare gli amici (36,7%) o trascorrere il tempo libero con la famiglia (17,3%).

Instagram guida la classifica come il social network più utilizzato (83,1%), seguito da Facebook (72,5%), YouTube (50,7%), e TikTok (37,6%). La Bergen Social Media Addiction Scale rivela che il 10,3% dei giovani presenta un alto rischio di dipendenza dai social media, mentre il 15,6% mostra una moderata propensione al pericolo di dipendenza. La maggioranza (74,1%) rientra nell’area “meno rischiosa”.

Al Sud il rischio sembra essere maggiore

Nella suddivisione per regioni, la Sicilia si posiziona al primo posto con l’11,155% di giovani a elevato rischio di dipendenza, seguita da Campania e Umbria. Alcune regioni presentano oltre un 10% di rischio, come Lazio, Toscana, Abruzzo, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Marche, Puglia, Basilicata, Molise e Piemonte.

Serve rafforzare la cultura digitale

In conclusione, la ricerca evidenzia la necessità di una campagna di comunicazione per rafforzare la cultura digitale, sensibilizzare sulle criticità legate all’uso eccessivo dei social media e attivare misure di sostegno per contrastare il lato oscuro della dipendenza dalla rete.

Corporate governance: quali sono i nuovi principi dell’OCSE/G20?

Una guida di Assonime, l’associazione delle società per azioni, analizza il ruolo della corporate governance, il sistema di direzione e controllo delle aziende, nel promuovere lo sviluppo del mercato dei capitali e la sostenibilità.
La guida evidenzia l’importanza dell’autoregolamentazione, sottolineando la flessibilità e la natura evolutiva di questa componente come elemento chiave di un solido quadro di governance, in linea con i Principi G20/OCSE.

I nuovi Principi Corporate Governance dell’OCSE, e la loro attuazione nel contesto italiano, sono al centro della guida di Assonime.
Adottati dal G20 e approvati nel settembre 2023, i Principi riflettono le nuove dimensioni della corporate governance, considerata cruciale non solo per le singole aziende, ma anche per l’intero sistema nazionale, ponendo maggiore enfasi sulla sostenibilità e la resilienza delle imprese. 

Promuovere trasparenza e resilienza aziendale

Questi principi sono stati elaborati con l’obiettivo di migliorare l’accesso delle società ai mercati finanziari, promuovono la trasparenza e la responsabilità nei confronti degli azionisti, e sostengono la sostenibilità e la resilienza aziendale.

Inoltre, i principi affrontano il ruolo crescente degli investitori istituzionali, promuovendo codici di stewardship e la disclosure dei conflitti di interesse. Contengono anche nuove raccomandazioni che riflettono l’importanza crescente del debito societario e il ruolo degli obbligazionisti nei mercati dei capitali.
In sintesi, mirano a creare un ambiente in cui le aspettative degli investitori evolute siano soddisfatte, favorendo la fiducia nei mercati finanziari e promuovendo la sostenibilità economica complessiva.

La natura evolutiva dell’autoregolamentazione

I punti chiave relativi ai principi G20/OCSE e la loro importanza per le aziende sono standard internazionali, promozione della trasparenza, diritti degli azionisti e trattamento equo, responsabilità del consiglio di amministrazione, sostenibilità e CSR (responsabilità sociale e ambientale), accesso ai mercati finanziari, efiducia degli investitori.

I principi G20/OCSE offrono un quadro fondamentale per le aziende interessate a implementare pratiche di governance efficaci e adattate agli standard internazionali, migliorando così la loro reputazione, la fiducia degli investitori e il loro accesso ai mercati finanziari.
La flessibilità e la natura evolutiva dell’autoregolamentazione sono sottolineate come elementi chiave di un solido quadro di governance.

Obiettivo finale, sostenere la crescita all’interno di un’economia sostenibile

Secondo l’analisi di Assonime il sistema italiano mostra un elevato grado di allineamento con gli standard internazionali, specialmente grazie alla revisione ampia del Codice di Autodisciplina italiano del 2020, che ha adottato una visione ‘illuminata’ della corporate governance. In particolare, rispetto alla sostenibilità.

Tuttavia, viene sottolineato che una buona corporate governance è necessaria ma non sufficiente per raggiungere l’obiettivo più ampio di creare un mercato dei capitali in grado di sostenere la crescita, l’innovazione e la transizione verso un’economia sostenibile.

Quando sono i dipendenti a provocare gli incidenti informatici

Gli incidenti informatici causati dal “fattore umano” spesso vengono attribuiti a errori occasionali dei dipendenti, ma un nuovo studio di Kaspersky evidenzia un elemento più significativo: il comportamento deliberatamente dannoso del personale. Nel corso degli ultimi due anni, il 77% delle aziende globali ha affrontato incidenti informatici, di cui il 20% è stato causato da azioni intenzionali dei dipendenti.

Esaminando il “fattore umano” che può influenzare negativamente le prestazioni aziendali, si identificano diversi elementi, dalle comuni sviste dei dipendenti all’errata allocazione del budget da parte dei decision maker. Le azioni malevoli dei dipendenti emergono come uno dei fattori più rilevanti, ma spesso trascurati. Secondo lo studio di Kaspersky, negli ultimi due anni, il 20% delle aziende in tutto il mondo ha subito incidenti informatici a causa di comportamenti illeciti dei dipendenti per scopi personali.

Il caso Tesla mette in luce i rischi per le aziende

Un caso recente presso Tesla evidenzia i rischi delle minacce interne per le imprese. Due ex dipendenti hanno rivelato dati sensibili di oltre 75.000 attuali ed ex colleghi, generando una violazione dei dati che è stata portata all’attenzione delle autorità di regolamentazione del Maine a seguito di un’indagine interna della società.

Le minacce interne comprendono due tipi principali: intenzionali e non intenzionali. Le minacce non intenzionali derivano da errori dei dipendenti, come cadere in trappole di phishing o inviare informazioni riservate alla persona sbagliata. Al contrario, le minacce intenzionali sono attuate da personale malintenzionato che agisce deliberatamente per danneggiare il datore di lavoro, spesso per ottenere un guadagno economico.

Gli insider con intenzioni malevole

Gli insider con intenzioni malevole sono particolarmente pericolosi poiché hanno una conoscenza approfondita dell’infrastruttura aziendale e dei processi, facilitando l’attacco. Possono danneggiare l’azienda rivelando informazioni riservate, interrompendo le operazioni e utilizzando il social engineering con colleghi e amici interni.

Le ragioni di azioni dannose degli insider includono il guadagno economico attraverso la vendita di dati sensibili, la vendetta in seguito a licenziamenti o mancati aumenti, e la collaborazione con attori esterni per compromettere l’organizzazione.

Proteggersi con sistemi di sicurezza efficaci

Alexey Vovk, Head of Information Security di Kaspersky, sottolinea l’importanza di costruire sistemi di sicurezza informatica aggiornati, resilienti e trasparenti. Soluzioni come Kaspersky Endpoint Detection and Response Optimum con Advanced Anomaly Control possono contribuire a rilevare e prevenire attività sospette, sia da parte di insider che di attori esterni.

Addio ai resi gratuiti nel mondo dell’e-commerce?

Nel panorama dell’e-commerce, c’è una tendenza in rapida crescita e che probabilmente rivoluzionerà il modo in cui i consumatori gestiscono i resi dei prodotti acquistati online. La restituzione di articoli senza costi aggiuntivi, una pratica comune in molte parti del mondo occidentale, potrebbe essere destinata a scomparire nel 2024. Questo cambiamento radicale ha avuto inizio nel Regno Unito, dove, secondo il New York Post, ben 8 rivenditori on line su 10 hanno introdotto commissioni per la restituzione di articoli.

I big della moda tra i precursori della rivoluzione

A guidare questa innovazione è stata Zara, che già da circa un anno applica una commissione di 1,95 sterline per il rimborso, ma solo per i clienti che restituiscono articoli acquistati online tramite punti di consegna terzi. La mossa di Zara ha aperto la strada ad altre catene di abbigliamento come Uniqlo in Giappone e Asos nel Regno Unito: entrambe ora addebitano una somma extra per le politiche di reso.  

Resi a pagamento anche negli Usa

Negli Stati Uniti, il fenomeno si è diffuso rapidamente, con aziende come Zara, Macy’s, Abercrombie & Fitch, J. Crew ed H&M che ora impongono commissioni fino a 7 dollari per la restituzione di articoli tramite spedizione postale. Anche il gigante Amazon, seppur in maniera limitata, ha introdotto una commissione di 1 dollaro in alcuni casi specifici.

L’Italia? Per ora resta a guardare 

Per ora, riferisce Adnkronos, l’Italia e gli altri paesi europei sono ancora esenti dalla politica di resi a pagamento. Il condizionale è d’obbligo, perchè la situazione potrebbe cambiare velocemente. Un trend evidenziato dal contesto attuale in cui alcuni brand, come Zara e H&M, in Italia applicano già condizioni diverse per i resi rispetto a quelli effettuati nei loro negozi fisici.

Il prezzo del reso compulsivo 

La transizione verso resi a pagamento è alimentata dai comportamenti scorretti dei consumatori. Il fenomeno del “bracketing”, ovvero l’acquisto di più taglie o colori di uno stesso capo con l’intenzione di restituirne alcuni a costo zero, ha raggiunto proporzioni rilevanti. Inoltre, alcuni consumatori acquistano prodotti, li utilizzano per poi restituirli gratuitamente, rendendoli spesso non rivendibili come nuovi.

Sostenibilità ed economia

La pratica del reso gratuito, oltre a essere economicamente insostenibile per le aziende, ha un impatto ambientale significativo. Ogni restituzione comporta il ri-trasporto, il controllo, la riparazione e il reimballaggio dei prodotti, con un costo energetico ed ambientale considerevole. Secondo stime di Inmar Intelligence, i rivenditori spendono 27 dollari per gestire il reso di un articolo da 100 dollari, mentre le aziende perdono circa il 50% del margine sui resi stessi.

Verso una società più responsabile 

La fine del reso gratuito può essere vista come una misura ormai necessaria, che invita a una maggiore responsabilità sociale. In un contesto in cui le normative sulla sostenibilità sono ancora insufficienti, coinvolgere le aziende nella lotta contro il climate change è ormai un imperativo. La sfida ambientale può essere affrontata solo attraverso un impegno sinergico di tutte le parti sociali, consumatori inclusi.

COP28: perchè il 17% delle aziende dice addio ai combustili fossili?

Con il raggiungimento di un accordo che prevede la transizione verso l’addio ai combustibili fossili entro il 2050 termina la COP28. Ma solo un’impresa italiana su cinque dichiara di avere adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico.

È infatti il 17% delle imprese ad avere fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti. È quanto emerge dalla ricerca dal titolo ‘L’impegno delle aziende italiane per il net-zero’, realizzata da Ipsos e dal Network italiano del Global Compact delle Nazioni Unite (UNGC), presentata in occasione della COP28 di Dubai.

Riduzione delle emissioni e target net-zero

La ricerca registra una coerenza fra i dati delle aziende che calcolano le emissioni e di quelle che hanno fissato obiettivi net-zero.
Fra i non aderenti allo UN Global Compact, il 17% delle imprese intervistate ha definito obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, di cui solo un’azienda su dieci è impegnata sul target net-zero o intende farlo da qui a due anni.

Se si guarda, invece, al cluster delle imprese partecipanti al progetto dell’Onu, la percentuale delle aziende con obiettivi di riduzione delle emissioni sale al 58%, portandosi dietro anche il dato molto positivo delle otto imprese su dieci che hanno definito target net-zero, o hanno in programma di farlo nel prossimo biennio.

Gli ostacoli all’impegno ambientale

Significativo il dato che emerge dalla ricerca rispetto ai freni all’impegno ambientale. Per il 34% delle aziende si tratta di limiti economici che non consentono di fare investimenti adeguati, per il 27% di freni burocratici, e per un altro 27% pesa la mancanza di figure professionali competenti.

Quanto alle risorse umane dedicate alla definizione di obiettivi di riduzione tra le aziende che non hanno sottoposto i propri target a validazione, nel 34% dei casi oggi è presente una persona o un team che se ne occupa, mentre il 41% preferisce affidarsi a consulenti esterni.

Sostenibilità ambientale: la conoscenza nei settori

Rispetto alla conoscenza del tema ambientale nei vari settori i livelli di conoscenza maggiori si riscontrano nella moda, nel food e nelle utilities.
In alcuni settori, come quello delle costruzioni, ad alto impatto in termini di emissioni, le conoscenze sono piuttosto sommarie e poco diffuse.
Automotive e utilities risultano invece più consapevoli del valore in termini di competitività e reputazione per l’adozione di comportamenti sostenibili.

Per quanto riguarda impegno e iniziative ambientali, è sempre il settore delle utilities a essere impegnato in modo più strutturato, sia tramite iniziative di contrasto al cambiamento climatico sia di sensibilizzazione interna all’azienda.
Il retail, al contrario, risulta il settore più indietro rispetto alle iniziative.

Quali sono stati i trend di ricerca su Google quest’anno? 

Quali sono stati i trend di ricerca su Google quest’anno? Puntuale come sempre, arriva la classifica redatta dal principale motore di ricerca. Nel 2023, l’Italia ha vissuto il trionfo storico nella Coppa Davis, e non sorprende che Jannik Sinner abbia registrato l’aumento più significativo nelle ricerche su Google. Ha superato altri personaggi come Romelu Lukaku e l’artista Peppino di Capri. Tuttavia, il bilancio annuale del motore di ricerca rivela anche l’attenzione degli italiani agli eventi attuali, in particolare dopo l’attacco del 7 ottobre, quando si sono affrettati a cercare informazioni su Hamas.

Addii, film, serie televisive e musica

Nella categoria ‘Addii’, Maurizio Costanzo ha sorprendentemente superato Silvio Berlusconi e Matteo Messina Denaro nella classifica del 2023. Tra i film più cercati, ‘Oppenheimer’ ha battuto ‘Barbie’ e ‘C’è ancora domani’, mentre per le serie TV, il boom di ricerche ha premiato ‘Mare Fuori’. Chiara Francini, attrice e scrittrice, ha primeggiato nella sua categoria davanti a Luisa Ranieri, mentre nei cantanti, Rosa Chemical ha superato Fedez e Marco Mengoni. Quest’ultimo ha avuto la rivincita tra le canzoni più cercate con ‘Due vite’, trionfante a Sanremo.

Il calcio trionfa tra gli sport

Google ha festeggiato il suo 25° compleanno nel 2023, ripercorrendo le tendenze che hanno suscitato la curiosità degli utenti nel corso degli anni. La rock band più cercata di sempre sono i Beatles, l’artista più cercato è Leonardo da Vinci (con la Monna Lisa che vince fra le opere), e l’atleta più cercato è Cristiano Ronaldo. Il calcio trionfa fra gli sport, mentre Taylor Swift si aggiudica il titolo di nome più cercato anche fra i cantautori. Inoltre, gli utenti italiani hanno aumentato le ricerche sulle lenticchie, superando persino i bigoli.

Le ricerche a livello globale

Ancora, a livello mondiale il vincitore di Grammy più cercato di sempre è Beyoncé, mentre l’icona di moda / stile più cercata è Rihanna. La cantautrice più googlata  è Taylor Swift, mentre il videogioco che totalizza più ricerche in assoluto è Minecraft. Infine, la trilogia più cercata di sempre è The Twilight Saga.

La classifica dei “cosa significa”

La classifica dei significati su Google nel 2023 mostra i termini più cercati per “cosa significa?”. Ai primi posti figurano le espressioni lutto nazionale, transgender, Papa emerito, armocromista e, inoltre, Apayinye, una parola nata su TikTok utilizzata come risposta a chi non comprende una domanda. Per quanto riguarda le ricette più popolari tra gli italiani, spiccano le lenticchie, i bigoli e lo scammaro, una sorta di frittata di pasta partenopea.