Usa, altro che lavoro: i dipendenti utilizzano i dispositivi aziendali per usi personali 

Secondo un recente sondaggio condotto da ExpressVPN, molti dipendenti americani stanno sprecando centinaia di ore lavorative ogni anno per svolgere attività personali sui loro dispositivi di lavoro. L’indagine, che ha coinvolto 2.000 dipendenti che lavorano da remoto e in modalità ibrida nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ha rivelato che solo il 33% delle ore annuali previste dal contratto viene effettivamente dedicato alle attività lavorative. 

Quali sono le attività personali più “praticate” sui dispositivi aziendali?

Con l’aumento del lavoro ibrido e a domicilio, molte aziende hanno fornito ai dipendenti dispositivi di lavoro da utilizzare nella comodità della propria casa, tra cui laptop, desktop, telefoni e microfoni. La ricerca ha rilevato che oltre due terzi dei lavoratori statunitensi hanno ammesso di utilizzare il computer di lavoro per controllare le email personali (70%), svolgere attività personali generali, come leggere le notizie o cercare informazioni online (69%), fare acquisti online (65%) e navigare sui social media (64%). In particolare, il sondaggio ha rivelato che il 41% dei lavoratori ammette di aver trascorso 196 ore lavorative all’anno per guardare film hard su un dispositivo di lavoro e 200 ore per accedere al dark web. Inoltre, gli uomini si sono dimostrati più inclini a utilizzare i dispositivi di lavoro per attività personali rispetto alle donne. 

Quasi impossibile farla franca

Tuttavia, l’indagine ha anche evidenziato che l’84% dei dipendenti che hanno utilizzato il computer di lavoro per navigare nel dark web è stato contattato dal proprio datore di lavoro.  Inoltre l’83% è stato contattato per aver guardato film porno e l’81% per aver giocato d’azzardo online. Insomma, farla franca dinanzi a simili comportamenti è quasi impossibile. 
Per questi dipendenti, la ripercussione più comune è stata una formazione sull’uso appropriato dei dispositivi di lavoro, che il 28% ha ricevuto dal proprio datore di lavoro. Il 25% ha invece ricevuto un ammonimento verbale.

Occorre una formazione adeguata ai dipendenti

Lauren Hendry Parsons, portavoce di ExpressVPN e difenditrice della privacy, ha sottolineato l’importanza di fornire ai dipendenti una solida formazione in materia di sicurezza per comprendere i rischi che si corrono e evitare attacchi di phishing. “È preoccupante la quantità di tempo che gli americani dedicano ad attività personali durante l’orario di lavoro, soprattutto se utilizzano i loro dispositivi di lavoro per queste attività” ha ribadito Hendry. “Questo non riguarda solo la produttività, ma può influire negativamente sui livelli di rischio per la privacy e la sicurezza dell’azienda”.

Il 7% delle richieste di mutui è green 

I mutui green servono a finanziare l’acquisto o la costruzione di abitazioni con elevate prestazioni energetiche (classe A o B), o a sostenere interventi di riqualificazione che consentano un miglioramento di almeno il 30% delle stesse. Secondo l’osservatorio di Facile.it e Mutui.it nel 2022 la richiesta di mutui green è stata pari al 7% del totale, per un importo medio richiesto di 150.000 euro, circa l’11% in più rispetto ai mutui tradizionali. E il valore medio degli immobili è stato pari a 216.090 euro, il 15% in più rispetto a quello degli immobili legati a un mutuo tradizionale.
Una differenza così elevata dipende dal fatto che le abitazioni che possono godere di finanziamenti verdi sono normalmente edifici in classe energetica A o B, pertanto il loro valore è più alto rispetto a quelli in classe energetica inferiore.

Quattro domande su 10 presentate da under 36

“I mutui green iniziano a rappresentare una quota significativa del mercato e sono destinati a crescere ulteriormente in futuro, soprattutto se pensiamo a norme come la direttiva Ue sull’efficientamento energetico delle abitazioni – spiega Ivano Cresto, Managing Director prodotti di finanziamento di Facile.it -. Le ragioni del successo sono diverse: da un lato l’aumento della platea di abitazioni che possono accedere a questo tipo di finanziamento, dall’altro, il numero di istituti di credito che offrono mutui green riconoscendo uno sconto sul tasso”.
In ogni caso, Trentino-Alto Adige (18,64%), Friuli-Venezia Giulia (8,68%), Umbria (7,81%) Sicilia (7,63%), Lombardia (7,62%) e Veneto (7,61%) sono le aree dove questo tipo di finanziamento è più richiesto. Quanto al profilo dei richiedenti, quattro domande di mutuo green su 10 sono state presentate da under 36.

Lo sconto sul tasso di interesse

Nella maggior parte dei casi chi sceglie un mutuo verde ha diritto a uno sconto sul tasso di interesse da parte della banca, normalmente pari allo 0,10%. In Italia poi esistono mutui verdi che possono essere richiesti anche per l’acquisto di abitazioni non ancora efficienti dal punto di vista energetico. In questo caso, lo sconto sul tasso di interesse non viene concesso all’atto di acquisto, ma solo se e quando l’immobile riuscirà a migliorare la propria prestazione energetica di almeno il 30%.

La procedura di richiesta per ristrutturazione

La procedura di richiesta di un mutuo green non varia da quella di un mutuo tradizionale, ma in caso di finanziamento verde la banca chiederà necessariamente di allegare alla richiesta l’attestato di prestazione energetica (APE) che certifichi la classe A o B dell’immobile. In caso di mutuo green per ristrutturazione, invece, il richiedente dovrà dimostrare che l’intervento sull’abitazione consenta di ottenere un miglioramento delle prestazioni energetiche di almeno il 30%. In questo caso, alcuni istituti, prima di riconoscere le agevolazioni previste dal mutuo green, potrebbero attendere la fine dei lavori.

Le aziende non riescono a trovare profili? Meglio affidarsi a un head hunter 

Tra le principali sfide delle aziende, oggi come domani, figura la selezione del personale. Senza i talenti necessari e le competenze indispensabili la crescita aziendale è preclusa, ed è a rischio anche la stabilità aziendale. Tanti processi di selezione del personale si chiudono quindi con un niente di fatto, con importanti perdite di tempo, denaro ed energie. Secondo una ricerca condotta a livello internazionale da McKinsey e ripresa dal World Economic Forum, 3 aziende su 4 non riescono a trovare i profili necessari alla propria crescita. In pratica, il 43% delle aziende lamenta carenze di competenze all’interno della propria forza lavoro, percentuale che nei prossimi 5 anni potrebbe arrivare all’87%. La soluzione? Affidarsi a un head hunter qualificato.

Il ruolo fondamentale del cacciatore di teste

In uno scenario di questo tipo questa può essere la soluzione efficace, e allo stesso tempo conveniente, per attirare i talenti.
“In un mercato come quello attuale aumentano di mese in mese le aziende che si rivolgono a un head hunter per la ricerca di dirigenti, middle manager e personale qualificato – conferma Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati -. Se infatti normalmente il recruiting si affida al classico annuncio di lavoro, l’head hunting parte da una base diversa, prendendo in considerazione anche i candidati passivi, ovvero le persone che non sono alla ricerca attiva di lavoro, e che quindi non rispondono all’annuncio”.

Attirare un numero più alto di candidati

Affidandosi a una società di head hunting diventa quindi possibile attirare un numero più alto di candidati, soprattutto in un mercato dominato dal gap tra domanda e offerta. Ma questo non è l’unico vantaggio.
“La nostra società conta cacciatori di teste specializzati nelle varie aree di interesse, head hunter che quindi coltivano nel tempo un prezioso network di contatti all’interno dei singoli settori – continua Adami -: la ricerca del personale diventa così non solo più efficace, ma anche più rapida, per arrivare più velocemente all’assunzione del talento ricercato. Non va poi trascurato che un cacciatore di teste specializzato conosce perfettamente le esigenze delle imprese, e parla lo stesso linguaggio dei candidati”.

Un risparmio di tempo e denaro

Così facendo l’head hunter diventa un partner prezioso dei reparti Risorse Umane. Mentre le figure interne non perdono tempo nella selezione del personale, il cacciatore di teste gestisce in prima persona la ‘scrematura’ dei candidati e i colloqui di selezione, comprimendo le giornate necessarie e complessivamente, anche i costi.
“Grazie all’intervento di un head hunter esperto aumentano le probabilità di trovare il talento ricercato con un solo processo di selezione del personale, abbattendo le probabilità di dover ripetere questa attività o di finire per assumere la risorsa sbagliata – aggiunge la fondatrice di Adami & Associati -, evenienza che per un’azienda presenta costi molto importanti”.

La dipendenza da smartphone è colpa dell’effetto camaleonte?

A rivelarlo è un recente studio condotto da un gruppo di etologi del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, e pubblicato sulla rivista Human Nature edita da Springer: la familiarità sembra avere un ruolo chiave nel favorire la risposta mimica nell’uso degli smartphone, e potenzialmente, quindi, nella dipendenza da questi dispositivi. Si tratta dell’effetto camaleonte, ovvero l’imitazione inconscia dei comportamenti altrui
“Durante la pandemia da Covid-19 – ha spiegato la professoressa Elisabetta Palagi dell’Università di Pisa – abbiamo condotto un primo esperimento per valutare gli effetti del lockdown sulla risposta mimica nell’uso degli smartphone. I risultati raccolti – ha sottolineato Palagi – hanno confermato la presenza di tale fenomeno, e dimostrato che le limitate interazioni sociali ‘dal vivo’ possono modificare, almeno nel breve termine, il modo in cui interagiamo con gli altri rendendoci più inclini a impegnarci in interazioni sociali virtuali”.

La risposta mimica è legata al “gradiente di familiarità”

“A distanza di un anno abbiamo fatto un nuovo esperimento i cui risultati sono stati, da un certo punto di vista, sorprendenti – ha proseguito Palagi -. Non solo, infatti, questo fenomeno non scompare nel tempo, come era invece lecito attendersi, ma sembra essere strettamente legato al ‘gradiente di familiarità’. Come avviene con la risata o lo sbadiglio, anche la risposta mimica nell’uso dello smartphone è più evidente quando si è insieme a persone che si conoscono”.

L’importanza del meccanismo del gaze following

“A innescare quello che viene definito dalla scienza come ‘effetto camaleonte’, ossia l’imitazione inconscia dei comportamenti altrui, è la direzione dello sguardo di chi, in un gruppo, utilizza lo smartphone per primo”, aggiunge la dottoressa Veronica Maglieri, primo nome nel lavoro che ha messo in evidenza questo elemento di novità. Se è ben noto, infatti, come lo sguardo sia, tra gli animali sociali, un elemento di comunicazione importantissimo, che guida il loro comportamento anche in situazioni di pericolo, è la prima volta che tale meccanismo, il cosiddetto ‘gaze-following’, viene rilevato in relazione agli oggetti manipolati dagli individui che interagiscono.

Un fenomeno etologico è alla base del successo degli smartphone

Grazie a questo risultato, dunque, lo studio condotto dalla professoressa Elisabetta Palagi insime al professor Dimitri Giunchi e alle dottoresse Veronica Maglieri e Anna Zanoli, apre a una miglior comprensione del successo di questi dispositivi, portando all’attenzione dei ricercatori un fenomeno etologico che potrebbe essere alla base del possibile fenomeno di dipendenza da questi ‘strumenti sociali’.

In Italia +169% cyberattacchi nel 2022

Negli ultimi dodici mesi nel mirino degli hacker è finita anche l’Italia: sono stati registrati 188 attacchi informatici, con un aumento del 169% rispetto al 2021, e rispetto alla media mondiale l’incremento è del +21%. La pressione maggiore è stata rilevata sul settore governativo e sulle aziende manifatturiere del Made in Italy: lo rileva il Rapporto annuale del Clusit, l’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica, arrivato a poche ore dalle dimissioni del direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, Roberto Baldoni. Secondo i ricercatori del Clusit il 2022 è stato l’anno peggiore di sempre sul fronte della sicurezza informatica.

Netta prevalenza di attacchi con finalità di cybercrime

L’analisi, condotta su 148 paesi, evidenzia che a livello mondiale si sono registrati 2.489 incidenti gravi, con 440 attacchi in più rispetto al 2021, che segnano una crescita annua del 21%.
Il picco massimo dell’anno, e di sempre, si è registrato nel mese di marzo, con 238 attacchi.
I dati aggregati per continente confermano la preponderanza percentuale di vittime in America (38%), rispetto a Europa (24%) e Asia (8%). L’analisi mostra inoltre una netta prevalenza di attacchi con finalità di cybercrime e significativi risvolti economici legati alla diffusione dei ransomware, che sono stati oltre 2.000 a livello globale e rappresentano l’82% del totale, in crescita del 15% sul 2021. Per l’Italia la percentuale sale al 93%, in crescita del 150%.

Il settore più attaccato in Italia è quello governativo

A livello mondiale, le principali vittime tornano a essere i ‘multiple targets’, i bersagli multipli (22%) con un aumento del 97% sul 2021. “Si tratta – spiega il Clusit – di campagne di attacco non mirate, che continuano a causare effetti consistenti”. 
Ai bersagli multipli seguono il settore governativo, quello delle PA e della sanità (12%). Il settore più attaccato in Italia nel 2022 è invece quello governativo, con il 20% degli attacchi, seguito a brevissima distanza dal comparto manifatturiero (19%), che rappresenta il 27% del totale degli attacchi censiti nel settore livello globale.

Malware, vulnerabilità, phishing e social engineering

Il malware rappresenta la tecnica con cui viene sferrato il 37% degli attacchi globali, cresciuto del +52%, seguito da vulnerabilità (12%), phishing e social engineering (12%).
Anche nel nostro paese prevalgono gli attacchi per mezzo di malware, riporta Ansa: sono il 53% del totale e hanno impatti gravi o gravissimi nel 95% dei casi.
“Negli ultimi cinque anni si è verificato un cambiamento sostanziale nei livelli globali di cyber-insicurezza mondiali – commentano i ricercatori – al quale non è corrisposto un incremento adeguato delle contromisure adottate dai difensori”. Nel nostro paese, osserva il presidente di Clusit, Gabriele Faggioli, “è necessaria un’ulteriore evoluzione nell’approccio alla cybersecurity. Occorre non solo che permanga il ‘driver normativo’, ma che si mettano in atto a tutti i livelli i processi di valutazione e gestione del rischio per il business”.

Gestione della cybersecurity, come si attrezzano le imprese italiane? 

Gli attacchi informatici sono all’ordine del giorno, tanto che oggi un’azienda su 7 ha avuto danni tangibili da questo tipo di crimine. E la tendenza è in crescita: il 67% delle imprese in Italia rileva un aumento di tentativi di attacco, così che il 61% ha incrementato il budget per la sicurezza informatica. Sono alcuni dati contenuti nell’Osservatorio Cybersecurity & Data Protection della School of Management del Politecnico di Milano. 

Principale investimento digitale per le Pmi italiane

La cybersecurity, visti i numeri allarmanti, nel 2023 si conferma la principale priorità di investimento nel digitale tra le imprese, sia grandi che Pmi. Ben il 61% delle organizzazioni sopra i 250 addetti ha deciso di aumentare il budget per le attività di sicurezza informatica negli ultimi 12 mesi. E complessivamente nel 2022 il mercato italiano della cybersecurity raggiunge il valore di 1,86 miliardi di euro, con un’accelerazione eccezionale del +18% rispetto al 2021. Il rapporto tra spesa in cybersecurity e PIL in Italia si attesta allo 0,10%, in lieve crescita rispetto allo 0,08% dell’anno precedente. 

Come è l’organizzazione della cybersecurity

Si potenzia la governance della sicurezza informatica nelle organizzazioni italiane. Nel 53% delle imprese oggi è presente un Chief Information Security Officer (CISO) formalizzato, che si colloca principalmente all’interno della Direzione IT (37%). Parallelamente, però, si stanno avviando iniziative di sensibilizzazione sui possibili impatti cyber delle attività dei dipendenti: l’80% delle organizzazioni (in aumento) ha definito piani di formazione strutturati, che quasi sempre coinvolgono tutti gli attori aziendali. L’efficacia della formazione dipende dalla capacità di focalizzarsi sugli impatti diretti e concreti sperimentati dai dipendenti nelle attività quotidiane.

La gestione del rischio cyber

Le imprese italiane considerano la gestione dei rischi con una visione sempre più olistica, per indirizzare le priorità di investimento. Nel 49% delle organizzazioni la gestione del rischio cyber avviene in un processo integrato di risk management aziendale, anche se rimane una quota rilevante che lo tratta come un rischio a sé stante o addirittura non lo monitora costantemente. Solo nel 32% delle aziende vengono applicate metodologie di quantificazione finanziaria del rischio. Questo approccio, sebbene complesso da affrontare, permette di far percepire in maniera efficace ai vertici aziendali l’importanza della cybersecurity, mettendo in evidenza i possibili impatti per il business di un potenziale incidente.

Italia, primo trimestre 2023: il pericolo recessione si allontana

L’Italia, ancora una volta, dimostra di essere resiliente e di riuscire a sopportare i colpi della crisi economica globale. Lo rivelano gli ultimi dati rilasciati da Confindustria. Tra le buone notizie diffuse dall’associazione di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di servizi del nostro paese, il Pil è migliore rispetto a quanto atteso. Non solo: favoriscono la tenuta dell’economia anche il calo dei prezzi energetici e la ripresa degli investimenti. E, in questo contesto, i consumi delle famiglie continuano a tenere.

Giù costo dell’energia e inflazione

Come dicevamo, il costo dell’energia è in calo rispetto l’anno passato. Il prezzo del gas resta relativamente basso a febbraio (56 euro/mwh in media), ben sotto i livelli registrati in tutto il corso del 2022 (ma era a 14 euro nel 2019). Anche il prezzo del petrolio sembra essersi stabilizzato (83 dollari al barile), su valori poco superiori a quelli pre-crisi (64 dollari). Viceversa, rincarano a inizio 2023 le commodity non-energy (+3,4% da ottobre), soprattutto i metalli (+16,8%), mentre i prezzi alimentari continuano a scendere (-1,2%). Continua a calare anche l’inflazione italiana (+10,1% a gennaio, +11,8% a ottobre), grazie alla minor variazione annua dei prezzi energetici (+43,1%, da +71,1%); ma la dinamica al netto di energia e alimentari è in salita (+4,6% da +4,2%), per la trasmissione dei rincari passati (energia) agli altri beni.

I tassi si stabilizzeranno

A dicembre il costo del credito per le imprese italiane è salito ancora: 3,55%, da 1,18% a fine 2021. La quota di imprese industriali che ottiene credito solo a condizioni più onerose è cresciuta al 42,9% (da 7,3%). La stretta segue il rialzo del tasso ufficiale BCE, portato al 3,00% a febbraio e annunciato a 3,50% a marzo; poi secondo i future potrebbe esserci un ultimo ritocco nel 2023 e infine lo stop; il BTP a febbraio si è stabilizzato al 4,04%, poco sotto i picchi (era a 0,97%).

Migliora l’industria, non le costruzioni

La produzione ha registrato un rimbalzo a dicembre (+1,6%), dopo tre mesi di calo. Nel 4° trimestre la variazione è stata comunque negativa (-0,9%, dopo -0,6% nel 3°), ma poco marcata nella manifattura (-0,4%). E i dati qualitativi di gennaio dipingono uno scenario in miglioramento: il PMI è risalito in area di lieve espansione (50,4 da 48,5), la fiducia delle imprese ha smesso di scendere e oscilla su livelli modesti, gli ordini calano meno, le scorte si sono lievemente ridotte. Nelle costruzioni, invece, la fase di debolezza è attesa proseguire: il PMI è a 48,2 (da 47,0).

Cresce l’ottimismo in tutta l’Eurozona

In Francia e Germania, dove a fine 2022 si è registrato un rallentamento del PIL meno intenso di quanto prospettato dagli analisti (+0,1% e -0,2%), gli indicatori qualitativi a gennaio tracciano un quadro più ottimistico, sebbene con forti asimmetrie: il PMI tedesco dei servizi torna in zona di espansione (50,7), mentre quello manifatturiero resta molto sotto la soglia (47,3); in Francia invece è la manifattura a risalire (50,5), mentre i servizi sono ancora deboli (49,4).

Il mercato Mobility è in ripresa dalla pandemia

La crisi degli ultimi anni sembra volgere al termine, e se alcuni comparti del mercato italiano della mobilità hanno già superato il 2019 in termini di spesa dei consumatori, altri proseguono la ripresa iniziata nel 2021, ma restano ancora lontani dai valori pre-pandemia. Inoltre, nonostante il ricorso a strumenti di pagamento elettronici riguardi ancora solo una transazione su 10, il digitale sta aumentando la sua incidenza anche nei comparti più tradizionalmente legati al contante. Un esempio è il trasporto su taxi, dove la penetrazione delle carte di pagamento nel 2022 ha raggiunto il 27% del totale. È quanto emerge dagli Osservatori Innovative Payments e Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano.

In crescita trasporti aerei, ferroviari e autonoleggi

Il comparto aereo, prima voce del mercato Mobility e il più colpito dalla pandemia, nel 2022 segna +65% rispetto al 2021, assestandosi a 9,9 miliardi di euro (-27% sul 2019). Anche per il mercato dei traghetti, dopo un anno di stabilità, il volume delle transazioni torna a crescere, sfiorando i 2 miliardi di euro (+29% sul 2021). Il settore del trasporto su autobus a medio-lungo raggio registra invece un +24% sul 2021, per un valore totale di 310 milioni di euro, mentre il trasporto ferroviario, dopo due anni di incertezza, supera seppur di poco (+1%) il 2019. Anche il mercato dell’autonoleggio ha conseguito risultati positivi: con oltre 1,5 miliardi di euro (+66% sul 2021) nel 2022 ha già superato il valore pre-pandemia del 9%.

Taxi: +81% rispetto al 2021

Nel trasporto pubblico locale i servizi urbani nel 2022 raggiungono un transato complessivo di 3,8 miliardi di euro (+46% sul 2021) recuperando quasi completamente il gap con il 2019. Il mercato dei taxi, dopo una forte contrazione nel 2020, è quello con la crescita maggiore rispetto al 2021 (+81%), sfiorando 1,5 miliardi di euro (+250 milioni sul 2019). Il mercato del pedaggio autostradale, seconda voce principale della Mobility, nel 2022 vale nel complesso oltre 8,5 miliardi di euro (+6% sul 2021), superando leggermente il valore del transato del 2019, mentre il settore delle ZTL registra una forte ripresa (+32% sul 2021), ma il valore complessivo (62 milioni) resta ancora lontano dai 90 milioni del 2019.

Pagamenti digitali più rilevanti anche per treni e autobus

Nel 2022 il contante rimane lo strumento preferito dai consumatori nella quasi totalità dei casi, ma il digitale conferma la sua penetrazione in alcuni comparti, facendo da volano al rilancio di mercati tradizionalmente più legati al pagamento fisico o in loco. È il caso degli autobus a medio-lungo raggio, per i quali aumenta del 12% rispetto al 2019 l’incidenza dell’acquisto tramite carte e wallet proprietari degli operatori di trasporto. Anche i canali online diventano più rilevanti, dal 54% di incidenza nel 2019 al 64% nel 2022, recuperando a valore circa l’80% del pre-pandemia.
Anche nel mercato del trasporto ferroviario si conferma il ricorso a strumenti elettronici per prenotare/pagare, dove l’online incide sul 59% dei volumi del comparto, +18% sul 2019.

Spazi lavorativi, è l’ora del cambiamento

Addio a uffici tradizionali e “statici”, sì a spazi di lavoro flessibili e adatti alle nuove esigenze. Dopo la pandemia, anche gli spazi professionali vanno reinventati. Tra smart working e una maggiore attenzione alla work-life balance, le aziende più illuminate ripensano gli ambienti dove ospitare i collaboratori. C’è di più: come riferisce un’indagine di Sodexo, multinazionale francese leader nei servizi di ristorazione, ben 1 azienda su 3 intende ripensare e trasformare i propri spazi di lavoro.  L’obiettivo finale è migliorare il benessere e la qualità della vita lavorativa del personale.

L’evoluzione del lavoro nel corso del tempo

Non è certo un segreto che nel tempo, progressivamente e con una forte accelerazione nei mesi scorsi, il concetto di lavoro sia cambiato profondamente. “Si è passati dal vivere per lavorare al lavorare per vivere, ben rappresentato dagli anni ‘80 e ’90” spiega Stefano Biaggi, Presidente e AD di Sodexo Italia. “Oggi la nuova frontiera è il lavorare per cambiare: andare a lavorare per cambiare noi stessi e cambiare il mondo in meglio. È in questo nuovo scenario che Sodexo ha deciso di annunciare Vital Spaces, la nuova proposta di valore per le aziende che vogliono intraprendere questo percorso di sperimentazione e innovazione. Sodexo è un’azienda di servizi a valore aggiunto: il servizio di ristorazione, storicamente il nostro core business, oggi incide per il 70% del fatturato mentre gli altri servizi Soft & Hard FM, che portano un valore all’esperienza del dipendente in azienda tramite la gestione e la cura degli spazi, pesano per il 30%”.

Spazi lavorativi da “reinventare”

Per capire di più di questo fenomeno, Sodexo Italia ha coinvolto tre esperti: Carmelo di Bartolo, Docente di Creatività e Progettazione Iulm e di Ergonomia Cognitiva Unisob, Gianandrea Ciaramella Architetto e professore associato del Politecnico e l’esperto di smartworking di Workitect Luca Brusamolino. Che affermano: “Il ruolo dei servizi si sta trasformando perché sta cambiando il modo in cui si utilizzano gli spazi. Gli spazi degli uffici sono sempre più spesso oggetto di una trasformazione che comporta una loro riduzione o rimodulazione per un impatto più sostenibile dell’impresa nell’ambiente. Sono spazi sempre più flessibili e polifunzionali perché le medesime aree devono essere destinate ad accogliere diversi tipi di attività durante la giornata o diverse tipologie di lavoro: di gruppo o individuale. Sono spazi che devono permettere l’incontro delle persone, indispensabile per favorire la creatività e il senso di appartenenza all’azienda. Il lavoro da remoto, infatti non è parimenti efficace quando è necessario stimolare la creatività e l’attaccamento all’azienda”. 

“Soluzioni e servizi per far vivere bene le persone”

“Quello che le aziende stanno sperimentando sono soluzioni e servizi per far vivere bene le persone in spazi gradevoli e facili da usare” aggiungono gli esperti. “Soluzioni che permettano di avere a disposizione aree di dimensioni e con caratteristiche adatte agli obiettivi dell’attività dei lavoratori: una postazione individuale insonorizzata o un ambiente ampio dove riunirsi o ancora una sala dove lavorare senza distrazioni. Ancora, aree per dare prestigio all’azienda e messe a disposizione dei collaboratori così da valorizzarli e farli sentire strategici”.

Quali sono i tatuaggi più popolari su Instagram e Google?

Sono cinque i tipi di tatuaggi più popolari in tutto il mondo: Nome, Lettera, Citazione, Parola, e Testi. Almeno, secondo Preply, che ha analizzato il numero di post taggati su Instagram e la domanda annuale di ricerca su Google. Secondo la piattaforma di apprendimento online i nomi tatuati sono infatti il tatuaggio più comune, con oltre 298.000 post su Instagram e 2,6 milioni di ricerche annuali su Google. Solitamente è il nome di un membro della famiglia, una persona cara o la/ilpartner. Al secondo posto, con un totale di 2,2 milioni di post su Instagram e ricerche su Google, si piazzano le lettere tatuate. In genere, le lettere tatuate sono semplici e presentano un singolo carattere, spesso la prima lettera di un nome, o di un luogo significativo per chi ha scelto questo tipo di tatuaggio.

Un ottimo modo per esprimere la propria personalità

Che vogliano ispirare o divertire, le citazioni tatuate sono un ottimo modo per esprimere la propria personalità. Si aggiudicano quindi il terzo posto, con 87.400 post su Instagram e 896.640 ricerche annuali su Google. Che si tratti di un sentimento, un’azione o qualcosa di motivante, le parole tatuate possono riflettere una serie di pensieri e sentimenti diversi. In quanto quarta tipologia più comune, le parole tatuate sono presenti in 87.400 post di Instagram e ottengono 535.200 ricerche annuali su Google. Tatuarsi un testo è invece al quinto posto, con 150.320 risultati totali su Instagram e su Google. I testi tatuati possono variare in lunghezza e stile, che si tratti di un testo particolarmente significativo o una frase della propria canzone preferita.

Giapponese, cinese e arabo le lingue più tatuate

Non ci si deve per forza limitare alla propria lingua madre quando ci si fa un tatuaggio. Molti infatti scelgono di farsi tatuare parole o frasi straniere. Alcuni preferiscono l’aspetto estetico di determinate lingue, altri apprezzano il mistero di una lingua che i loro coetanei non conoscono.  Il giapponese è in cima alla lista delle lingue (231.240 ricerche all’anno), seguito dal cinese (184.800). Forse perché nella versione scritta di queste lingue vengono utilizzati simboli che molti potrebbero trovare esteticamente gradevoli.
L’arabo è la terza lingua più popolare (81.600), mentre l’italiano si colloca al 9° posto, con 19.080 ricerche annuali ogni anno, dimostrando di essere popolare in tutto il mondo.

A Milano più ricerche per rimozioni o correzioni

Disegnare con un inchiostro permanente sul proprio corpo può spesso portare le persone a pentirsene. Con i tatuaggi in lingua, questi rimorsi possono derivare da errori di ortografia e traduzioni errate.
Per individuare i Paesi con il maggior numero di pentimenti Preply ha analizzato la domanda di ricerca per la rimozione e le correzioni di tatuaggi, e gli Stati Uniti mostrano il maggior numero di rimorsi: oltre 1 milione di ricerche annuali per la rimozione di tatuaggi, seguiti da Brasile e Regno Unito (275.040 e 217.200 ricerche).
Con 6.720 ricerche all’anno in Italia è Milano dove si riscontra la maggiore richiesta di rimozioni di tatuaggi, seguita da Roma (6.720) e Torino (1.680).